Demolizione e ricostruzione volontaria: serve unanimità proprietari, salvo riclassificazione in L4

Parere in merito alla deliberazione condominiale di demolizione e ricostruzione volontarie di edificio danneggiato dal sisma.

Si rassegna il seguente parere con riguardo alla richiesta di chiarimenti pervenuta dall’avv. XXX, il quale chiede se demolizione e ricostruzione di un edificio danneggiato dal sisma e per il quale sia stato determinato un Livello Operativo L3, possano essere deliberate dall’assemblea condominiale con le maggioranze previste dall’art. 6, comma 11, del D.L. n. 189 del 2016, per il quale “in deroga agli articoli 1120, 1121 e 1136, quinto comma, del codice civile gli interventi di recupero relativi ad un unico immobile composto da più unità immobiliari possono essere disposti dalla maggioranza dei condomini che comunque rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio. In deroga all’articolo 1136, quarto comma, del codice civile, gli interventi ivi previsti devono essere approvati con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell’edificio“.

Il summenzionato comma quarto dell’art. 1136 c.c. prevede infatti, in via ordinaria, che “le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell’edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità e le deliberazioni di cui agli articoli 1117 quater, 1120, secondo comma, 1122 ter nonché 1135, terzo comma, devono essere sempre approvate con la maggioranza stabilita dal secondo comma del presente articolo“, vale a dire “con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio“.

Il quesito riguarda l’applicabilità di tale deroga al caso di delibera condominiale di demolizione e ricostruzione volontaria dell’edificio che coinvolga non solo le parti comuni dell’edificio, ma anche quelle di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

In proposito si premette quanto segue.

I diversi Livelli operativi scaturiscono dalla combinazione dello stato di danno e del grado di vulnerabilità. A ciascun livello operativo è associato il costo parametrico e il tipo di intervento di ricostruzione, di miglioramento sismico o di rafforzamento locale associato alla riparazione dei danni.

L’edificio cui si riferisce il quesito è stato classificato come L3.

Ora, l’Ordinanza commissariale n. 19 del 7 aprile 2017 classifica quali interventi “di miglioramento sismico” quelli che riguardano edifici classificati con “livello operativo” L1, L2 ed L3, e interventi “di ricostruzione” quelli che riguardano edifici classificati con “livello operativo” L4: mentre il Livello operativo L4 comporta l’esecuzione di interventi di demolizione e ricostruzione o di adeguamento sismico, i Livelli operativi L1, L2 e L3 comportano la sola esecuzione di interventi di miglioramento sismico nei limiti di sicurezza stabiliti dal Ministero delle Infrastrutture.

Nel caso de quo ci si potrebbe limitare dunque, in forza della classificazione L3, a realizzare un intervento di miglioramento sismico.

Tuttavia, in relazione agli esiti di successivi carotaggi effettuati sull’edificio, da cui emergerebbe una capacità di resistenza del cemento armato delle strutture portati inferiore a quello indicato come adeguato, l’assemblea di condominio vorrebbe optare per la volontaria demolizione e fedele ricostruzione dell’edificio medesimo.

Il quesito pone a riguardo due questioni al fine di verificare la possibilità, nel caso di specie, di avvalersi della deroga del menzionato art. 6, comma 11 del d.l. n. 189 del 2016:

  1. Se la deroga di cui all’art. 6, comma 11, sia applicabile alle deliberazioni condominiali aventi ad oggetto la ricostruzione o la riparazione delle sole parti comuni dei fabbricati danneggiati dagli eventi sismici, o possa estendersi anche alle parti di esclusiva proprietà dei condomini, come sarebbe in questo caso, dato che la demolizione e ricostruzione riguarderebbe l’intero edificio;
  2. Se la deroga di cui all’art. 6, comma 11, possa riferirsi a un caso di demolizione e ricostruzione volontaria, in considerazione del fatto che l’art. 1136 c.c. si riferisce testualmente alle delibere assembleari concernenti la “ricostruzione“, da intendersi – a parere dell’Avv. XXX – come conseguente al “Perimento totale o parziale dell’edificio” disciplinato dall’art. 1128 c.c.

Con riguardo al quesito sub a), un’autorevole, seppur risalente, giurisprudenza aveva ritenuto che “l’art. 1136 c.c., nella parte in cui menziona le deliberazioni dell’assemblea dei condomini concernenti la ricostruzione dell’edificio, va interpretato con riferimento alle norme sostanziali di cui agli artt. 1124, 1125 e 1128 c.c., le quali disciplinano unicamente la ricostruzione delle parti comuni dell’edificio condominiale. Ne consegue che l’assemblea dei condomini non può deliberare a maggioranza la ricostruzione dell’intero edificio condominiale, comprese le parti di proprietà esclusiva, vincolando i condomini dissenzienti a sostenere le spese” (Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1978, n. 4777). In tal senso si ricordi che, anche in linea generale, “Le deliberazioni approvate a maggioranza dall’assemblea dei condomini possono avere come oggetto solo gli interessi relativi alla gestione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni, non anche gli interessi riguardanti la disposizione dei diritti sulle stesse parti. Ne segue, pertanto, che le delibere assembleari che invadono, in maniera immediata o mediata, il settore della disposizione dei diritti sulle parti comuni, riservato all’autonomia negoziale dei singoli, sono nulle per impossibilità dell’oggetto. Alla stregua dei principi che precedono deve affermarsi, quindi, che l’assemblea dei condomini non può deliberare su una materia esorbitante dalle sue attribuzioni [che] comporti la disposizione dei diritti (soggettivi) di un condomino, posto che per la validità e l’efficacia di un tale atto (…) è necessario il consenso dell’interessato” (Cass. civ. sent. n. 14931/01).

In linea generale, infatti, mentre le disposizioni riguardanti le modalità d’uso delle cose comuni sono modificabili dall’assemblea con la maggioranza prevista dall’art. 1136 del codice civile, i diritti soggettivi di ciascun condomino sono modificabili con il consenso unanime dei condomini (Cass. Civ. sent. n. 8533/1999). E ancora: “I diritti spettanti a ciascun condomino (in base agli atti di acquisto o al regolamento condominiale richiamato negli atti medesimi) sulle parti comuni non possono essere validamente derogati da deliberazioni approvate a maggioranza, essendo a tal fine necessaria la concorde volontà di tutti i condomini che, se espressa in assemblea, deve assumere la forma di deliberazione approvata all’unanimità” (Cass. civ. Sent. n. 5369/1997).

Tuttavia, proprio riguardo al profilo, sollevato nel quesito, dell’applicabilità della norma speciale del comma 11 dell’art. 6 in esame al caso di delibera condominiale di demolizione e ricostruzione volontaria dell’edificio che coinvolga non solo le parti comuni dell’edificio, ma anche quelle di proprietà esclusiva dei singoli condomini, si rileva che appare difficilmente configurabile, nella prassi concreta, una demolizione di un edificio condominiale colpito dal sisma che possa riguardare solo le parti comuni e non anche i singoli i singoli appartamenti di proprietà esclusiva (salvi i casi di condomini orizzontali o di edifici consistenti in villini bifamiliari o plurifamiliari “a schiera”, etc.).

In conclusione, dunque, questo primo quesito risulta privo di rilevanza pratica o, comunque, mal posto.

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Con riguardo al quesito sub b), si osserva che la deroga prevista dall’art. 6, comma 11, del d.l. n. 189 del 2016 rinvia a tutti gli interventi cui si riferisce l’art. 1136, quarto comma c.c., in quanto applica la deroga genericamente a “gli interventi ivi previsti“, tra cui – come detto – figurano “la ricostruzione dell’edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità”.

Ora, il quesito proposto alla nostra attenzione ipotizza di superare l’ostacolo del diritto esclusivo dei diversi proprietari sui singoli appartamenti inquadrando la “ricostruzione” di cui all’art. 1136 c.c. nella fattispecie di cui all’art. 1128 c.c., rubricato “Perimento totale o parziale dell’edificio”, ai sensi del quale “1. Se l’edificio perisce interamente o per una parte che rappresenti i tre quarti del suo valore, ciascuno dei condomini può richiedere la vendita all’asta del suolo e dei materiali, salvo che sia stato diversamente convenuto” e, soprattutto, “2. Nel caso di perimento di una parte minore, l’assemblea dei condomini delibera [1136] circa la ricostruzione delle parti comuni dell’edificio, e ciascuno è tenuto a concorrervi in proporzione dei suoi diritti sulle parti stesse [1123] (…)”. Venendo meno il diritto esclusivo dei singoli proprietari sui rispettivi appartamenti sopravvivrebbe, infatti, solo la comunione sulla proprietà dell’area (Corte Cass., Sez. II, 16 marzo 2001, n. 6198).

Ora, sebbene la questione sia posta per giungere a superare il limite delle maggioranze richieste per la deliberazione, il quesito in oggetto solleva una diversa e più delicata questione, vale a dire quella di cosa debba intendersi per “ricostruzione”.

Vi sono in proposito due possibili interpretazioni.

Prendendo le mosse dalla prima, che si presenta come quella più aderente alla ratio della disciplina di cui al d.l. n. 189 del 2016 di favorire l’effettiva ricostruzione degli immobili danneggiati dal sisma, si può osservare quanto segue.

Il comma 11 dell’art. 6 del decreto-legge n. 189 del 2016 reca due distinte disposizioni normative.

La prima (contenuta nel primo periodo), riferita – come già ricordato – al caso delle innovazioni, fa riferimento agli interventi di “recupero” e non a quelli di “ricostruzione”: il comma 1 dell’art. 6 sembra infatti distinguere tra interventi di ricostruzione relativi agli immobili privati distrutti e interventi di recupero relativi agli immobili privati danneggiati dal sisma. Gli artt. 1120 e 1121 del codice civile, richiamati nel primo periodo del comma 6, riguardano, infatti, rispettivamente, le Innovazioni e le Innovazioni gravose o voluttuarie. In particolare, l’art. 1120 prevede che, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell’articolo 1136, ossia con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio, i condomini possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni e che, con la più bassa maggioranza indicata dal secondo comma dell’articolo 1136 (ossia con un numero di voti che rappresentino almeno un terzo del valore dell’intero edificio), possono disporre le innovazioni volte a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti, l’eliminazione delle barriere architettoniche, il contenimento del consumo energetico, la realizzazione di parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell’edificio, nonché la produzione di energia mediante l’utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili, l’installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo.

L’art. 1121 prevede a sua volta una disciplina particolare per le innovazioni gravose o voluttuarie imponendone l’esonero dalle relative spese dei condomini che non intendono trarne vantaggio e l’accollo integrale delle spese da parte dei condomini che le hanno deliberate o accettate.

La norma speciale del primo periodo del comma 11 dell’art. 6, dunque, accorda una modesta deroga al regime ordinario del codice civile consentendo una maggioranza della metà del valore dell’edificio (anziché dei due terzi) per le innovazioni diverse da quelle – semplificate – di cui ai numeri 1), 2) e 3) del secondo comma dell’art. 1120 (aggiunto dall’art. 5, comma 1, della legge 11 dicembre 2012, n. 220), ossia per le innovazioni diverse dagli interventi di miglioramento della sicurezza e della salubrità dell’edificio, di rimozione delle barriere architettoniche, di efficientamento energetico, etc..

La seconda disposizione normativa introdotta nel comma 11 in esame (contenuta nel secondo periodo) disciplina, invece, gli interventi previsti dal quarto comma dell’art. 1136 del codice civile, ossia gli interventi (per quel che qui interessa) di ricostruzione dell’edificio, le riparazioni straordinarie di notevole entità, nonché le innovazioni “semplificate”, di cui all’art. 1120, secondo comma, già esaminate, interventi tutti che, nel regime ordinario, devono essere sempre approvati con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio e che, nel regime speciale della ricostruzione post-sisma, possono essere approvati con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio.

La disciplina “speciale” di che trattasi si risolve, anche in questo caso, in una modesta riduzione delle maggioranze necessarie (dalla metà del valore dell’edificio a un terzo di tale valore).

Si tratta, a questo punto, di stabilire che cosa si intenda, nella logica speciale del decreto-legge n. 189 del 2016, per interventi di “ricostruzione”. Soccorre al riguardo, come anticipato, il testo del comma 1 dell’art. 6, in base al quale – comma 1, lettera a) – «a) per gli immobili distrutti, [è previsto] un contributo pari al 100 per cento del costo delle strutture, degli elementi architettonici esterni, comprese le finiture interne ed esterne e gli impianti, e delle parti comuni dell’intero edificio per la ricostruzione da realizzare nell’ambito dello stesso insediamento, nel rispetto delle vigenti norme tecniche . . .», mentre, in base alla lettera c) del medesimo comma 1, «c) per gli immobili gravemente danneggiati, con livelli di danneggiamento e vulnerabilità superiori alla soglia appositamente stabilita, [è previsto] un contributo pari al 100 per cento del costo degli interventi sulle strutture, con miglioramento sismico, compresi l’adeguamento igienico-sanitario, energetico ed antincendio, nonché l’eliminazione delle barriere architettoniche, e per il ripristino degli elementi architettonici esterni comprese le rifiniture interne ed esterne, e delle parti comuni dell’intero edificio».

Ciò posto, sembra del tutto ragionevole concludere che la norma speciale del 2016, riferita specificamente alla ricostruzione post-sisma, comprenda nella nozione di “ricostruzione” anche il caso, frequente, di demolizione e ricostruzione del fabbricato distrutto o così gravemente danneggiato da non consentire alternative tecnicamente sostenibili di mera riparazione.

Alla luce di questa linea interpretativa, dunque, la disciplina codicistica delle maggioranze condominiali richieste per la deliberazione di procedere alla demolizione e ricostruzione dell’edificio deve essere adattata alla speciale normativa post-sisma e, a parere di chi scrive, non può essere desunta puramente e semplicemente dalla giurisprudenza formatasi sul richiamato art. 1128 del codice civile.

Deve peraltro osservarsi che, in base al già citato art. 1136, quarto comma, del medesimo codice civile, le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell’edificio (e qui il comune riferimento è proprio all’art. 1128 c.c.) devono essere approvate con la maggioranza stabilita dal secondo comma del medesimo articolo 1136 (ossia «con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio»), sicché non si comprendono le ragioni in base alle quali si possa e si debba dubitare della necessità – addirittura – dell’unanimità dei consensi, con l’attribuzione di un sostanziale potere di veto anche a un solo condomino titolare di una quota minimale del valore dell’edificio.

Anche a voler ricondurre l’intervento di demolizione e ricostruzione ex d.l. n. 189 del 2016 al caso del perimento totale o parziale dell’edificio ex art. 1128 c.c., infatti, si dovrebbe comunque concludere nel senso della sufficienza della maggioranza di cui al secondo comma dell’art. 1136 c.c. e non vi sarebbe comunque spazio per ipotizzare la necessità di una complicata unanimità dei consensi.

Né si ravvisano ragioni per escludere dal regime speciale appositamente previsto dall’art. 6, comma 11, secondo periodo, del decreto-legge n. 189 del 2016 (che abbassa a un terzo del valore dell’edificio il quorum deliberativo necessario) il caso, molto comune nel complessivo processo di ricostruzione post-sisma, di necessaria demolizione e ricostruzione dell’edificio.

Resta da precisare che le conclusioni cui si è giunti e che sono state testé esposte sono da valere solo per i casi di edifici distrutti o danneggiati così gravemente da rendere impossibile tecnicamente o economicamente insostenibile la sola riparazione, sì da rendere di fatto necessitata la scelta di demolizione e ricostruzione. Occorre, cioè, che – in disparte i casi nei quali sussistano ordini di demolizione, per i quali, a ben vedere, neppure è necessaria la deliberazione condominiale, trattandosi di esecuzione necessitata di un ordine dell’autorità, penalmente sanzionato – si tratti di un caso di “ricostruzione”, ai sensi della lettera a) del comma 1 dell’art. 6 del decreto-legge n. 189 del 2016, con un livello operativo non inferiore a L4.

Poiché nel caso cui si riferisce il presente parere, come si è già detto, a dispetto del livello operativo attualmente classificato L3, i tecnici incaricati della progettazione ritengono comunque non fattibile la riparazione e affermino la necessità della demolizione e ricostruzione, allora si porrà se del caso un problema preliminare di revisione e/o aggiornamento del livello operativo, evidentemente errato in origine o superato per sopravvenuti aggravamenti del danno.

Non si può tuttavia ignorare che sussiste una seconda possibile interpretazione, più aderente alla visione tradizionale del concetto di “ricostruzione”, la quale però – come anticipato – si riferisce a situazioni ordinarie e non a situazioni di danneggiamento da sisma.

Infatti, con riferimento all’art. 1128, che peraltro non compare nella disposizione dell’art. 6, comma 11, del d.l. n. 189 del 2016, si può osservare che tale norma è stata interpretata nel tempo dalla giurisprudenza nel senso che, per perimento dell’edificio condominiale, debba intendersi il materiale venir meno del bene, determinato da fatti o avvenimenti accidentali, cui sia rimasta estranea la volontà dei condomini: “sia avuto riguardo al significato letterale che alla ratio delle disposizioni dettate dall’art. 1128, primo e secondo comma, per l’ipotesi di perimento totale o parziale dell’edificio in condominio, è da ritenere che, mediante esse, siano stati disciplinati – in mancanza di diverse convenzioni tra le parti – solo gli effetti della distruzione totale o parziale per cause estranee alla volontà dei condomini” (Corte Cass., Sez. II, 6 giugno 1974, n. 1663).

Si tratta di una norma che, all’evidenza, non contempla la particolare fattispecie di immobile danneggiato da sisma. La giurisprudenza, con riguardo ai casi ordinari, ne ha tratto come conseguenza che “la disciplina contenuta nella norma suddetta non possa trovare applicazione, di regola, nell’ipotesi di demolizione dell’edificio a scopo di ricostruzione, salvo il caso che le demolizioni si siano rese necessarie per evitare crolli conseguenti alla vetustà dell’edificio, che avrebbero potuto cagionare danni a persone o a cose. In tale ipotesi, infatti, il perimento dell’edificio si verifica a seguito di rovina per vetustà di entità tale da rendere necessaria la demolizione delle parti pericolanti e deve trovare disciplina nel citato art. 1128″ (Cass. civ., sez. II, 28 giugno 1980, n. 4102).

Purtuttavia, anche con riguardo a tale pronuncia, sembra potersi desumere che residui la possibilità di deliberare, con le maggioranze ivi previste e senza l’unanimità, la demolizione e ricostruzione nel caso che le demolizioni che si siano rese necessarie per evitare crolli conseguenti alla vetustà dell’edificio, che avrebbero potuto cagionare danni a persone o a cose.

La fattispecie in esame, invero, riguarda però il caso, del tutto diverso, di edificio danneggiato dal sisma, la cui stabilità tuttavia non risulta compromessa al punto da renderne obbligatoria la demolizione (tant’è che non si tratta di intervento classificato quale L4), come invece era nel caso preso in esame dalla ricordata sentenza, ove la vetustà dell’edificio giustificava la demolizione e ricostruzione volontaria.

Nella fattispecie in oggetto evidentemente si pone un problema pregiudiziale di revisione o di aggiornamento del livello operativo, posto che, come detto, la deroga introdotta dall’art. 6, comma 11, opera solo in presenza di interventi necessari di ricostruzione, di regola associati a un livello operativo L4. Tale deroga, infatti, non può tradursi in una libera facoltà e in un incentivo per la scelta di demolizione e ricostruzione, con maggioranze semplificate, anche nei casi in cui il livello operativo è tale da indurre alla sola riparazione e alla scelta di interventi di restauro e conservativi.

In conclusione si può ritenere che:

  1. a) Nei casi di livello operativo L4, corrispondente alla necessità di interventi di ricostruzione, si applica l’art. 6, comma 11, secondo periodo, del decreto-legge n. 189 del 2016 ed è sufficiente un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell’edificio (in deroga alla norma del codice civile che richiede che tali interventi siano approvati con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio).
  2. b) nel caso in cui si abbia un livello operativo inferiore a L4, ma i tecnici incaricati del progetto asseverino e certifichino l’impossibilità tecnica o la eccessiva onerosità degli interventi di riparazione, e la necessità della demolizione e ricostruzione, allora occorrerà preliminarmente rivedere o aggiornare il livello operativo, evidentemente in origine errato o superato dalle sopravvenienze.
  3. c) Il quesito sub a) – se la deroga di cui all’art. 6, comma 11, sia applicabile alle deliberazioni condominiali aventi ad oggetto la ricostruzione o la riparazione delle sole parti comuni dei fabbricati danneggiati dagli eventi sismici, o possa estendersi anche alle parti di esclusiva proprietà dei condomini – appare di scarso rilievo pratico, poiché sembra difficile che una demolizione e ricostruzione possa interessare le sole parti comuni lasciando indenni gli appartamenti di proprietà esclusiva dei singoli condomini. Tale quesito andrebbe dunque meglio articolato e circostanziato. In ogni caso, si ritiene che, conseguentemente alle conclusioni relative ai punti a) e b), la risposta debba essere affermativa, salvi i casi nei quali risulti oggettivamente possibile un intervento parziale, tecnicamente valido, che possa non riguardare anche le parti di proprietà esclusiva.

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Nell’occasione si conferma inoltre quanto riportato nella risposta al ticket del 7.12.2020, in cui si segnalava che la maggioranza assembleare favorevole alla demolizione e ricostruzione, per quanto comunicato dall’amministratore, era pari a 948/1000, mentre residuava una quota pari a 52/1000, la cui proprietà era in comunione tra tre eredi del defunto proprietario, due soli dei quali sarebbero stati favorevoli alla demolizione e ricostruzione.

In merito, si ritiene corretto che in presenza di più soggetti titolari del diritto di proprietà in comunione ereditaria su una unità immobiliare ricompresa in un condominio, la rappresentanza, nell’ambito dell’assemblea, si debba considerare unica e, ai fini della determinazione del quorum deliberativo, si esprima in un solo voto.

In considerazione di ciò, si rappresenta che in caso di proprietà in comunione, qualora il comunista esprima legittimamente il voto positivo in assemblea, ai sensi dell’art. 1108 del c.c. (maggioranza dei partecipanti alla comunione che rappresenti almeno due terzi del valore complessivo della cosa comune), lo stesso è valido ai fini del raggiungimento del quorum necessario alla deliberazione dell’intervento di demolizione e ricostruzione volontaria sottoposto all’approvazione dell’assemblea condominiale.

Nel caso in esame, dunque, se ad oggi permanesse ancora la disposizione favorevole alla demolizione e ricostruzione da parte di almeno due dei tre eredi comunisti, sarebbe raggiunta in ogni caso l’unanimità, ferma restando la facoltà di impugnare la delibera assembleare da parte dell’erede dissenziente.

Con i migliori saluti.

L’Ufficio del Consigliere Giuridico
Prof. avv. Pierluigi Mantini
Cons. Paolo Carpentieri
Prof. avv. Valentina Maria Sessa.

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