Ordinanza 116: la riforma non crea disparità di trattamento, salvi i diritti acquisiti

Oggetto: Ordinanza n. 116 del 6 maggio 2021 – Articolo 14 (Abrogazioni)

XXXXXX con la nota che si riscontra, rileva criticamente che l’avvenuta abrogazione, ad opera dell’art. 14 dell’ordinanza n. 116 del 6 maggio 2021, della “lettera a) della tabella 7 allegata all’ordinanza n. 19 del 7 aprile 2017”, ossia dell’incremento del costo parametrico del 10 per cento per gli edifici sottoposti al vincolo paesaggistico di cui agli artt. 136 e 142 del d.lgs n. 42 del 2004 già riconosciuto in via automatica (“soltanto perché l’immobile in questione rientra nelle classificazioni normative richiamate, a prescindere dal tipo di intervento che si va a compiere, e quindi a prescindere che si tratti di restauro/ricostruzione o demolizione/ricostruzione”), avrebbe determinato la perdita dell’incremento del costo parametrico per gli edifici costruiti dopo il 1945, anche per quelli sottoposti a prescrizioni di tutela indiretta, che non beneficiano degli incrementi di cui all’ordinanza n. 116 del 2021.

Tale riforma sembrerebbe, osserva XXXXX  “abbastanza paradossale perché gli immobili costruiti dopo il 1945, specialmente negli anni ’60-’70-’80, poiché spesso realizzati senza tener conto di piano regolare alcuno, sarebbero quelli che dal punto di vista paesaggistico sono soggetti a maggiori prescrizioni dagli enti di competenza, alle quali dovrebbe corrispondere un incremento del costo parametrico, e non piuttosto una privazione totale di tale incremento del costo parametrico a favore, invece, di immobili costruiti prima del 1945 che, seppur vecchi, hanno una loro fisionomia più caratteristica e compatibile con i luoghi di cui trattasi”. Con la conseguenza per cui gli “immobili paesaggisticamente da migliorare si troverebbero sprovvisti del riconoscimento dell’incremento del costo parametrico, nonostante su questi stessi fabbricati tutti gli enti di competenza si espongono con numerose prescrizioni che andrebbero appunto sorrette da una premialità che invece si intende togliere”.

Analoga critica viene quindi svolta dal con riferimento all’abrogazione dell’incremento del costo parametrico di cui al “numero 4 della tabella 7 allegata all’ordinanza n. 13 del 9 gennaio 2017”, in relazione agli immobili ad uso produttivo, che già beneficiano di un contributo piuttosto esiguo, nonché, pur trattandosi di una fattispecie in via di esaurimento, con riguardo all’abrogazione dell’incremento del costo parametrico di cui all’ “articolo 3, comma 1, lettere a) e b), dell’ordinanza n. 8 del 14 dicembre 2016”, quindi in relazione agli immobili con danni lievi.

Queste modifiche, si conclude nella nota in esame, determinerebbero una disparità di trattamento difficile da spiegare tra chi fino ad oggi, presentando la relativa pratica di richiesta di contributo, ha potuto beneficiare di tale incremento del costo parametrico e chi, successivamente all’entrata in vigore dell’ordinanza n.116 del 2021, non potrebbe più beneficiarne.

Le critiche sollevate dall’istante vertono essenzialmente sulla scelta, caratterizzante l’indirizzo strategico espresso dalla nuova ordinanza n. 116 del 2021, di sostituire al sistema antevigente, imperniato sull’automatismo dell’incremento del contributo, riconosciuto indistintamente in relazione a tutti gli edifici comunque ricompresi in un’area tutelata paesaggisticamente, un sistema nuovo, più selettivo, graduato e proporzionato in relazione alla tipologia dell’edificio (se riconducibile, in quanto anteriore al 1945, al costruito storico e tradizionale), nonché in relazione al tipo di vincolo paesaggistico (se “generico” o “specifico”) e al tipo di intervento progettato (se conservativo o di demolizione e ricostruzione).

Sotto questo profilo, in effetti, l’ordinanza n. 116 del 2021 non si è limitata a operare un mero riordino delle vigenti disposizioni in materia di riparazione, restauro, ripristino e ricostruzione degli immobili di interesse culturale e paesaggistico appartenenti a soggetti privati, ma ha inteso operare una vera razionalizzazione degli incrementi, con un ripensamento del sistema sinora vigente, giudicato sotto molti aspetti non soddisfacente e inadeguato a conseguire l’obiettivo di favorire una ricostruzione attenta alla qualità architettonica e alla tutela e valorizzazione delle caratteristiche tradizionali, tipiche e identitarie di molti edifici del Cratere, dei nuclei e centri storici e, più in generale, del patrimonio culturale e paesaggistico delle aree colpite dal sisma.

Uno dei punti qualificanti di questa riforma consiste esattamente nell’aver superato il previgente sistema automatico, che non distingueva tra interventi di demolizione e ricostruzione e interventi di conservazione e di restauro, né in base al tipo di vincolo paesaggistico – generico o specifico – gravante sull’area, attribuendo a tutti ugualmente l’incremento del 10 per cento del costo parametrico per il solo fatto che l’edificio ricadesse in una zona vincolata.

Il nuovo sistema, invece, premia (in base alle tabelle allegate all’ordinanza n. 116 del 2021) gli interventi conservativi, che cercano di ricostruire le caratteristiche tipologiche, architettoniche e costruttive tradizionali dei luoghi, rispetto a quelli di demolizione e di ricostruzione, e distingue tra gli edifici che costituiscono parte integrante dei centri e nuclei storici sottoposti a vincolo paesaggistico (vincoli “specifici”), che contribuiscono a rappresentarne il valore paesaggistico tutelato, e gli edifici che, pur ritrovandosi all’interno della perimetrazione di un vincolo paesaggistico, non recano in sé alcuna caratteristica architettonica tale da giustificare l’incremento del contributo.

Per comune convenzione e generale riconoscimento la soglia temporale dell’anno 1945 segna, come chiarito nelle premesse motivazionali e nella relazione illustrativa che accompagna l’ordinanza n. 116 del 2021, in quanto limite cronologico che separa il periodo precedente l’ultimo conflitto e il periodo della ricostruzione post-bellica, uno spartiacque epocale nella configurazione degli ambiti edificati e dello sviluppo urbanistico ed edilizio del Paese, come riconosciuto anche nell’ordinanza n. 25 del 23 maggio 2017, recante i Criteri per la perimetrazione dei centri e nuclei di particolare interesse che risultano maggiormente colpiti dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016, che, nell’allegato 1, al paragrafo 1, nel punto 1a), riconosce la presenza di patrimonio culturale di particolare interesse e di pregio storico, architettonico, archeologico, naturale e paesaggistico, da prendere in considerazione ai fini della perimetrazione, nel caso di “1a) centri, nuclei o parti di essi rappresentati in una pianta urbana o mappa catastale di inizi Novecento, ove disponibili, o di fine Ottocento, in quanto tessuti edificati che hanno un valore quale testimonianza storica di una cultura e di una civiltà ormai lontane dalla nostra”. La soglia cronologica del 1945 è altresì indicata dalla circolare del Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio, n. 42, prot. 21322, del 21 luglio 2017 che, nell’interpretare il riferimento, contenuto nel d.P.R. n. 31 del 2017, agli immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l’edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici, richiama e fa proprio “l’orientamento storico-critico – sul quale sembra potersi registrare un’ampia convergenza di posizioni, e al quale lo stesso MiBACT ha in definitiva aderito (si veda ad esempio la ricerca promossa dalla allora DARC, con il concorso di varie Università, sulle “architetture italiane del secondo Novecento”, identificate quali architetture realizzate in Italia a partire dal 1945) – che individua nell’inizio del secondo dopoguerra, e dunque convenzionalmente nel 1945, la soglia cronologica a partire dalla quale può essere individuato il carattere ‘contemporaneo’ del patrimonio architettonico ed edilizio nazionale (anche categorizzabile, secondo una nomenclatura anch’essa diffusa, quale “patrimonio del secondo Novecento”): ciò – fondatamente – sulla base della considerazione dell’indubbia cesura, sia sotto il profilo delle tecnologie costruttive che (e, forse, soprattutto) dei linguaggi architettonici, rinvenibile nella produzione edilizia successiva alla data suddetta”.

Segue dalle esposte considerazioni che non si giustifica(va) l’attribuzione di una particolare premialità al contributo per l’edilizia del periodo post-bellico, successiva al 1945, notoriamente priva di un proprio valore o interesse paesaggistico riconoscibile, in quanto connotata di regola da caratteristiche costruttive, tipologiche e dei materiali edili adoperati affatto eterogenee rispetto alle costruzioni appartenenti all’edificato storicizzato, che riveste, invece, un suo proprio significato sotto il profilo paesaggistico.

Deve invero considerarsi che, come già sopra accennato, la presenza di un vincolo paesaggistico non implica affatto per ciò solo la sussistenza di un valore e di un interesse pubblico paesaggistico insisto nel singolo edificio che ricade nell’area tutelata. La maggior parte dei vincoli paesaggistici, infatti, hanno una connotazione generica, nel senso che includono vaste porzioni di territorio ritenute di notevole interesse paesaggistico soprattutto per i valori naturalistici espressi (è così, ad esempio, per le zone sottoposte a vincoli di legge “Galasso”, oggi art. 142 del codice di settore del 2004, quali i territori montuosi sopra i 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica, i parchi e le riserve nazionali o regionali, i territori di protezione esterna dei parchi e quelli coperti da foreste e da boschi, le zone gravate da usi civici, etc., che sono vincolati ex lege in quanto aree geografiche, a prescindere del tutto dalla tipologia e dalla qualità degli edifici in esse ricompresi); oppure riguardano il cono visivo che va da un punto di belvedere alla bellezza naturale protetta (così è di regola per le così dette “bellezze panoramiche”, vincoli d’insieme contemplati dall’art. 136, comma 1, lettera d), del codice del 2004), poiché anche in questo caso il vincolo opera del tutto indipendentemente dalla qualità e dalla tipologia degli edifici inclusi nel perimetro vincolato.

Diversamente, nel caso di vincoli specifici (le “bellezze individue”, ossia le ville, i giardini e i parchi, oppure i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici, di cui alle lettere b) e c) dell’art. 136 cit.), la qualità paesaggistica presa in considerazione (che giustifica il vincolo) spesso coincide con le caratteristiche storico-artistiche e architettoniche degli antichi borghi protetti e, quindi, dei singoli edifici che appartengono a quell’insieme di edificato storico e tradizionale che costituisce il borgo antico tutelato. Ma anche in quest’ultimo caso, tuttavia, occorre distinguere, all’interno del complesso edificato vincolato, tra gli edifici che recano in sé quelle caratteristiche che giustificano il vincolo e sono parte organica del centro o nucleo storico tutelato (e che di solito sono quelli che appartengono all’architettura storica e tradizionale anteriore al 1945), e gli edifici più recenti, degli anni ’60, ’70 o ’80 del secolo scorso, che sono quasi sempre estranei rispetto al complesso di immobili che compongono quel caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale che giustifica il vincolo.

Questa esposizione dimostra che è illogico attribuire indistintamente a tutti gli edifici ricompresi in qualsiasi tipo di vincolo paesaggistico (e in ugual misura) il beneficio dell’incremento sul costo parametrico, e che è invece necessario distinguere, a seconda del tipo di vincolo (generico o specifico) e del tipo di edificio (se anteriore al 1945 e presumibilmente espressivo di un suo valore paesaggistico, almeno di tipo identitario, o successivo, e dunque appartenente a un’edilizia più recente, priva di valore storico-testimoniale e di rilievo paesaggistico), e ciò allo scopo di concentrare le risorse per incentivare la conservazione e il restauro di quella tipologia di edifici, in luogo della loro demolizione e ricostruzione, che difficilmente può assicurare la salvaguardia dei valori paesaggistici tutelati.

È vero che, nella legislazione vigente, il regime giuridico “vincolistico”, di sottoposizione al previo controllo autorizzativo (autorizzazione paesaggistica) è comune e uguale per tutti gli edifici comunque ricompresi in un’area vincolata, indipendentemente dal tipo di vincolo e dall’età e dalla tipologia architettonica dell’edificio. Ma tale circostanza – che obbedisce ad altre finalità di tutela paesaggistica diverse e autonome da quelle proprie della ricostruzione post-sisma – non implica alcuna ricaduta sul piano della commisurazione del contributo per la ricostruzione, che non ha e non potrebbe in nessun caso avere una valenza (in senso lato) “indennitaria” per gli oneri insiti nell’assoggettamento dell’edificio al regime vincolistico.

In disparte la considerazione che, come è noto, la natura dichiarativa e conformativa dei vincoli paesaggistici esclude in radice ogni forma di indennizzabilità a favore dei privati proprietari, possessori o detentori del bene (Corte cost., sentenze nn. 55 e 56 del 1968), non v’è dubbio sul fatto che le risorse pubbliche preordinate alla ricostruzione post-sisma non potrebbero mai essere finalizzate a un siffatto scopo estraneo al fine istituzionale ad esse impresso dal legislatore.

Aggiungasi, infine, la considerazione che la nuova ordinanza del 2021, se, da un lato, ha abrogato l’incremento automatico del 10 per cento, ha, dall’altro lato, notevolmente aumentato gli incrementi (fino al 50 per cento per i beni paesaggistici e fino al 100 per cento del costo parametrico per gli edifici sottoposti a vincolo come beni culturali), con la conseguente necessità di operare un generale riequilibrio economico-finanziario della riforma, che non avrebbe evidentemente consentito a un tempo gli aumenti suddetti e il mantenimento dell’incremento automatico del 10 per cento per tutti gli edifici (di qualunque tipo e di qualunque epoca), sol perché inclusi nel perimetro di vincoli paesaggistici (di qualunque tipo).

Alla luce di questa ampia argomentazione, non appaiono condivisibili le critiche sollevate nella nota che si riscontra che, pur esprimendo un’opinione soggettiva del tutto legittima, non evidenziano profili rilevanti in punto di legittimità, ma rappresentano solo una non condivisione della scelta politica di merito, in termini di convenienza e di opportunità.

Sotto un primo profilo, si rileva nella nota in esame che l’abolizione dell’incremento automatico del 10 per cento per gli edifici gravemente danneggiati compresi in aree vincolate non consentirebbe di coprire i maggiori costi dovuti alle gravose prescrizioni migliorative imposte dagli organi di tutela proprio per il minor pregio paesaggistico degli edifici successivi al 1945, degli anni ’60, ’70 o ’80 del Novecento.

Il rilievo non sembra condivisibile. Basti in proposito considerare che, come stabilito dalla voce A.29 dell’allegato A al d.P.R. n. 31 del 2017, nonché dalle ordinanze n. 100 e n. 107 del 2020 (articoli, rispettivamente, 8 e 5), e come chiarito nella circolare interpretativa del 22 gennaio 2021 (par. 2), non è necessaria l’autorizzazione paesaggistica in tutti i casi di ricostruzione conforme e fedele dell’edificio preesistente, con le tolleranze e le lievi modifiche necessarie a fini di miglioramento o adeguamento sismico o di efficientamento energetico e degli impianti tecnologici, ragion per cui il titolare dell’edificio di epoca successiva al 1945, ancorché ricompreso in un’area vincolata,  può senz’altro, di regola, con una semplice SCIA, demolire e ricostruire, senza dover eseguire nessuna prescrizione o condizione degli organi di tutela (salvo che non intenda liberamente introdurre, in sede di ricostruzione, modifiche sostanziali, tali da giustificare, quindi, il previo controllo autorizzatorio paesaggistico, non trattandosi più in tal caso di ricostruzione conforme e fedele, esonerata, come tale, dall’autorizzazione paesaggistica). Fuori dai casi di ricostruzione non fedele (implicante, cioè, modifiche sostanziali, paesaggisticamente rilevanti), gli organi di tutela (Comune e Soprintendenza) non hanno titolo a prescrivere alcunché (ove si proceda, si ripete, a una ricostruzione fedele), ferma restando ovviamente la libertà del privato di accettare eventuali indicazioni estetiche migliorative che intenda volontariamente apportare per la scelta di migliorare la qualità architettonica dell’edificio. È da escludere, quindi, che gli edifici degli anni ’60, ’70, ’80 del Novecento, in quanto rientranti in un vincolo paesaggistico, debbano o possano essere sottoposti, in sede di riparazione o di ricostruzione, a più onerosi condizionamenti e prescrizioni in linea di tutela paesaggistica.

Neppure può condividersi l’ulteriore osservazione secondo la quale la riforma determinerebbe una disparità di trattamento difficile da spiegare tra chi fino ad oggi ha potuto beneficiare di tale incremento del costo parametrico e chi, successivamente all’entrata in vigore dell’ordinanza n.116 del 2021, non potrebbe più beneficiarne. Al riguardo potrebbe replicarsi con l’osservazione speculare, uguale e contraria, per cui, caso mai, era difficile da spiegare perché un edificio di edilizia storica e tradizionale, anteriore al 1945, collocato per un centinaio di metri al di fuori di una zona gravata da uso civico, o dal perimetro di una parco o di un’area naturale protetta, o posto a 1000 m. di quota, non poteva beneficiare di alcun incremento, mentre un edificio degli anni ’70, in cemento armato, totalmente estraneo per tipologia costruttiva e architettonica all’edilizia storica tipica dei luoghi, ubicato a un centinaio di metri di distanza dal primo, dovesse invece godere senz’altro dell’incremento del 10 per cento per il solo fatto di trovarsi per caso all’interno del perimetro dell’uso civico o dell’area naturale protetta, oppure sopra i 1.200 m. di quota.

In ogni caso il problema di diritto intertemporale, peraltro insito inevitabilmente in ogni intervento di riforma, che segna necessariamente una linea di demarcazione tra il regime previgente e quello di nuova introduzione, trova una risposta adeguata nel regime transitorio introdotto dall’art. 13 dell’ordinanza, in base al quale ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore dell’ordinanza continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nelle ordinanze vigenti, venendo così salvaguardati i diritti quesiti di coloro che diligentemente hanno già provveduto a presentare la domanda di contributo.

L’Esperto Giuridico                                                Il Consigliere Giuridico
Paolo Carpentieri                                                        Pierluigi Mantini

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