Oggetto: Criticità progetti di ricostruzione privata per imposizione di vincolo postuma alla richiesta di contributo.
L’ing. XXX XXX ha segnalato – con mail in data 10 novembre 2020 – alcune criticità insorte nell’approvazione di un progetto di ricostruzione privata a causa della “imposizione di vincolo postuma alla richiesta di contributo”.
Più in particolare, riferisce l’ing. XXX di aver elaborato (negli ultimi due anni) “un progetto di edificio in livello operativo L4 (circa 160 mila euro di lavori), sito nel centro storico di un piccolo borgo (XXX) nella provincia di Ascoli Piceno, ove risultano formalmente assenti vincoli culturali-architettonici ai sensi del Dlgs 42/2004” per “l’adeguamento sismico della struttura muraria interessata”, con “la previsione di demolire e ricostruire porzioni di muratura e orizzontamenti voltati, aventi eccessive deformazioni, e la decisione di realizzare un intonaco armato su entrambe le facce delle murature, interessando anche porzioni di facciate esterne che erano originariamente con laterizio a vista”, “Il tutto scegliendo tecniche e materiali che permettessero di rientrare nel contributo convenzionale, non essendoci possibilità finanziaria di accollo da parte dei proprietari”.
Espone, dunque, il tecnico che, pur non sussistendo alcun vincolo sull’immobile oggetto dell’intervento, la soprintendenza territorialmente competente si è informalmente espressa negativamente sul progetto, sulla base di pregressi accordi con il Comune che prevederebbero la necessità “di far vagliare i progetti del centro storico alla stessa Soprintendenza, pur non essendo vigente alcun vincolo”. Più specificamente, la soprintendenza avrebbe fornito al Comune via pec un “parere preventivo negativo” “con un preavviso di imposizione di vincolo indiretto ai sensi dell’art.45 D.Lgs 42/2004 sulla zona ove ricade l’edificio, essendo vicino alla Chiesa del borgo”. Il parere sarebbe motivato sul rilievo “che l’intonaco di facciata sarebbe una dissimulazione alla “vera essenza del fabbricato”, e ciò nonostante il fatto che le “relazioni progettuali [che] indicavano non sufficiente la facciavista armata con solo intonaco sul lato interno”. Inoltre, nel parere verrebbero dettate anche “prescrizioni sugli ambienti interni (come se vi fosse un vincolo totale e diretto sull’intero manufatto)” e per “il mantenimento di alcune volte in muratura (era stato argomentato chiaramente nelle relazioni progettuali che le volte non erano tecnicamente recuperabili con le deformazioni in atto e in relazione al contributo a disposizione)”.
Lamenta, infine, l’esponente, che in tal modo il progetto sarebbe stato bloccato in attesa della notifica del vincolo di tutela indiretta preannunciato, ma non ancora apposto, e conclude con la proposta “acceleratoria” di “permettere a noi tecnici di presentare i progetti agli USR anche con il solo avvio del procedimento di vincolo da parte delle Soprintendenze o anche con il solo parere preventivo (e quindi giovare degli incrementi e delle deroghe previste)”, dichiarandosi “pronto anche oggi a ripresentare un progetto variato con le prescrizioni dettate dalla Soprintendenza con il suo “parere preventivo” (a condizione di derogare all’adeguamento sismico e vedere riconosciuto l’incremento del 20%)”.
La nota dell’ing. XXX pone una pluralità di problematiche relative agli interventi di ricostruzione, riparazione e ripristino dei beni culturali privati, nell’ambito della ricostruzione privata, soprattutto per quanto riguarda i centri storici.
Nel merito della specifica vicenda posta all’attenzione del Sig. Commissario, deve in primo luogo rilevarsi che, in assenza di vincoli (storico-artistici, paesaggistici o di tipo urbanistico, apposti, cioè, dal piano regolatore) la procedura (sia sul piano edilizio che sul piano del contributo per la ricostruzione) è senz’altro ammissibile e procedibile, sicché l’arresto amministrativo di fatto imposto dal Comune è illegittimo.
Deve peraltro avvertirsi che non è infrequente il caso in cui (come si chiarirà meglio più avanti) siano gli stessi strumenti urbanistici comunali a prevedere (più o meno legittimamente, qui non rileva) l’obbligo di acquisire il previo parere dell’organo di tutela nel caso di interventi nei centri storici, e ciò pur in assenza di vincoli (storico-artistici o paesaggistici) di sorta. Ma, nel caso di specie, risulta che non sussiste una simile ipotesi, poiché la strumentazione urbanistica comunale non conterrebbe previsioni in tal senso.
Il Ministero può, tuttavia, attraverso i suoi uffici periferici, avviare in qualsiasi momento – anche dopo che sia stata presentata una domanda edilizia – il procedimento diretto all’imposizione di un vincolo, anche di prescrizioni di tutela indiretta, come preannunciato in questo caso dal funzionario della soprintendenza (arg. ex art. 28, comma 3, del codice di settore del 2004).
L’art. 46 del codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004 prevede, infatti, al comma 2, che la comunicazione di avvio del procedimento individua l’immobile in relazione al quale si intendono adottare le prescrizioni di tutela indiretta e indica i contenuti essenziali di tali prescrizioni, nonché, al comma 4, che “La comunicazione comporta, in via cautelare, la temporanea immodificabilità dell’immobile limitatamente agli aspetti cui si riferiscono le prescrizioni contenute nella comunicazione stessa”; il successivo comma 5 precisa dunque che “Gli effetti indicati al comma 4 cessano alla scadenza del termine del relativo procedimento, stabilito dal Ministero ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia di procedimento amministrativo”. Tale termine è di 120 giorni (come previsto dal d.P.C.M. 18 novembre 2010, n. 231, recante il Regolamento di attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardante i termini dei procedimenti amministrativi del Ministero per i beni e le attività culturali aventi durata superiore a novanta giorni, allegato 1, n. 9). Il procedimento – in base al d.P.C.M. 2 dicembre 2019, n. 169 sull’organizzazione del Ministero – prevede la competenza della Commissione regionale per il patrimonio culturale per l’adozione del provvedimento conclusivo sulla base dell’istruttoria e su proposta della competente Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio.
I tempi di conclusione del procedimento sono pertanto lunghi (e sono peraltro non perentori, ma solo ordinatori, atteso che alla cui inutile scadenza segue solo la cessazione degli effetti interinali di salvaguardia previsti dal citato comma 4 dell’art. 45).
La proposta dell’ing. XXX – di consentire la presentazione della domanda tenendo conto dell’avvio del procedimento di vincolo indiretto – è di assoluto buon senso e sembra anche coerente sul piano della legittimità, poiché implica che la domanda debba essere proposta e istruita alla stregua del regime giuridico vigente e attuale del bene, quale stabilito dalla comunicazione di avvio del procedimento, ancorché tale regime di sottoposizione alle prescrizioni di tutela indiretta sia per legge temporaneo e interinale.
Ed infatti, secondo un principio di presunzione di legittimità degli atti e dell’azione complessiva dell’Amministrazione, può e deve presumersi che il Ministero provveda a concludere il procedimento di apposizione delle prescrizioni di tutela indiretta in senso conforme alla comunicazione di avvio (in specie se vi è una sostanziale accettazione da parte privata, che non si oppone alla misura). In quest’ottica è del tutto logico e coerente che, nelle more (120 giorni o più) della conclusione del procedimento, la parte che non intenda opporsi alla misura di tutela possa agire come se il regime interinale fosse già definitivo (essendo naturalmente destinato a consolidarsi con la conclusione del procedimento) e, conseguentemente, l’Amministrazione (comunale e USR) debba regolarsi, a sua volta, tenendo conto di tale regime attuale ed effettivo del bene.
Una soluzione che consentisse uno spazio di operatività al miglioramento della qualità dell’intervento, sotto il profilo del rispetto dei tatti caratteristici e tradizionali dell’architettura originaria di un immobile situato nel centro antico del borgo, potrebbe in tesi giovare alla qualità architettonica complessiva della conservazione del carattere identitario del centro storico.
Fermo restando, conclusivamente, il diritto della parte istante a ottenere, già allo stato degli atti, l’esame nel merito del progetto così come presentato, prescindendo, dunque, dal parere della Soprintendenza e dal solo preannunciato, ma non attivato, procedimento di apposizione di prescrizioni di tutela indiretta ai sensi dell’art. 45 del codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, è possibile, ad avviso dello Scrivente, consentire anche una rielaborazione volontaria del progetto, alla luce del parere (ancorché informale) della Soprintendenza, in vista della prossima apposizione del vincolo indiretto sopra detto.
Riepilogando, in sintesi, la parte richiedente ha ad oggi due alternative:
- insistere per l’esame, da parte degli uffici (Comune e USR), del progetto così come presentato (in mancanza anche dell’avvio del vincolo indiretto ogni rifiuto o ritardo nell’esame della pratica, a motivo della soprintendenza, è illegittimo e causa di danno ingiusto risarcibile);
- attendere la notifica della comunicazione di avvio del procedimento di apposizione delle prescrizioni di tutela indiretta e, dopo tale notifica, sempre che non intenda opporsi al vincolo e lo voglio accettare, ripresentare (o variare) il progetto alla luce di tali prescrizioni (in tal caso gli uffici potranno da subito riesaminare il progetto ammettendolo anche alle maggiorazioni del 20 per cento previste per i casi di vincolo indiretto, senza dover necessariamente attendere la notifica del vincolo definitivo che, a fronte dell’accettazione della parte interessata, non dovrebbe incontrare ostacoli particolari nel suo iter conclusivo).
Ovviamente, finché non si abbia almeno la notifica dell’avvio del procedimento, l’unica strada percorribile sembra quella di cui al punto 1.
L’Esperto Giuridico Il Consigliere Giuridico
Paolo Carpentieri Pierluigi Mantini