Viene posto un quesito in merito alla disciplina del cd. “doppio cratere” ed in particolare si chiedono chiarimenti in merito all’ipotesi di ricostruzione non in conformità al preesistente titolo edilizio abilitativo, poiché il richiedente lamenta che, in tal caso, “si verifica che, nel centro storico, chi non può ricostruire in modo conforme “all’ edificio preesistente”, se il danno prevalente è riferito al 2009 non riceve il titolo edilizio, mentre chi è del 2016 si”.
In particolare, si legge nella nota, che “l’abitazione si trova nel centro storico del paese, la costruzione risale ai primi anni del secolo scorso…omissis… la nuova struttura… ha comportato l’eliminazione delle divergenze di cm 17 da un lato e di cm 20 dall’ altro, facendo così diminuire la superficie di mq 0,6851 da un lato e di mq 0,820 dall’ altro, per un totale di mq 1,501 a fronte di una superficie totale di circa mq 70. Il 2,2% in meno rispetto al vecchio” e che “l’edificio è legittimo e non aumenta la volumetria anzi la diminuisce”, lamentando il richiedente l’inapplicabilità delle ordinanze “perché il danno prevalente è del 2009, anche se è stato parzialmente demolito con ordinanza del Sindaco a seguito del sisma 2016”.
Premesso che, in via generale, la disciplina di accesso al contributo per l’ipotesi del doppio cratere, ai sensi dell’art. 13 del decreto Sisma e dell’ordinanza attuativa n.51/2018, stabilisce il criterio dell’accertamento preliminare del “danno ulteriore prevalente” (ex art. 2 e ss., ord. n.51/2018) che è attività di competenza del comune, il quesito merita tuttavia un doveroso approfondimento per il secondo dei profili emersi e che concerne la portata applicativa del menzionato principio di ricostruzione “in conformità al preesistente”, in particolare nei centri storici.
Tuttavia, da quanto riferisce il richiedente, la difformità dell’edificio è contenuta nei limiti di decremento volumetrico del 2,2% rispetto al preesistente. Si rammenta a riguardo che, ai sensi dell’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001, introdotto dall’art. 10, comma 1, lettera p), della legge n. 120 del 2020, per tutti gli interventi edilizi realizzati sugli edifici privati, il limite di tolleranza costruttiva solo oltrepassato il quale si rientra nella disciplina degli abusi (artt. 31 e 36, 37 Testo unico dell’edilizia) è pari al 2% per le parziali difformità realizzate a far data dagli eventi sismici del 2016, mentre è del 5% per quelle realizzate prima di tale data (art. 1-sexies del decreto legge n. 55/2018).
Il caso prospettato sembra rientrare nella casistica sopra evidenziata nell’ambito del riconoscimento delle “tolleranze ricostruttive”.
Più in generale, non può essere trascurato che il Testo unico dell’edilizia, approvato con D.P.R. 6 giugno 2001, n.380, e le norme speciali riguardanti i territori colpiti dal sisma, anche alla luce delle semplificazioni introdotte con il decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n.120, devono ritenersi principi di disciplina generale e speciale applicabili ai comuni di cui agli allegati 1, 2 e 2-bis del D.L. 189/2016, compreso il comune di Campotosto.
Ciò significa che, mentre per la determinazione del contributo si applicano le disposizioni di cui all’art. 13, terzo comma del decreto Sisma, e dunque si applica criterio del danno prevalente ai soli fini della determinazione del contributo, ciò nondimeno l’applicazione della disciplina urbanistico-edilizia, sostanziale e procedurale, prescinde dal criterio della prevalenza ai fini del calcolo del contributo e deve essere attuata in tutti i comuni compresi negli allegati 1, 2 e 2-bis del D.L. 189/2016.
Pertanto, come già chiarito con la Circolare prot. n. CGRTS 2594 del 27 gennaio 2021, merita di essere sottolineato che agli interventi di ripristino/ricostruzione degli edifici danneggiati dal sisma, anche con totale demolizione e ricostruzione, si applica l’art. 12, secondo comma, del decreto-legge 189/2016, come novellato dal decreto legge 76/2020.
Non si applicano dunque, per quanto concerne il regime giuridico degli interventi edilizi, le norme del Testo unico dell’edilizia, in specie per quanto concerne le ristrutturazioni edilizie nei centri storici.
Rispetto alle limitazioni, introdotte anche dalla più recente normativa del 2020, per i casi di “ristrutturazione edilizia” con riferimento agli immobili vincolati o a quelli ubicati nei centri storici (mantenimento della sagoma, dei prospetti, etc.), risulta prevalente, per specialità, la previsione di semplificazione, riferita ad hoc agli interventi rientranti nell’ambito della ricostruzione di cui al decreto-legge n. 189 del 2016, introdotta dal comma 6 dell’art. 10 del decreto-legge n. 76 del 2020, che (modificando il comma 3 dell’art. 12 del decreto “sisma” del 2016) ha espressamente escluso, come si è detto, l’ “obbligo di speciali autorizzazioni”, “anche con riferimento alle modifiche dei prospetti”. La lettera inequivoca della norma speciale derogatoria non consente dubbi interpretativi e non lascia spazio a soluzioni restrittive di diverso tenore.
La disciplina fondamentale è quella ora contenuta all’art. 12, comma 2, del decreto legge 17 ottobre 2016, n. 189, nel testo riformato, secondo cui “all’esito dell’istruttoria sulla compatibilità urbanistica degli interventi richiesti a norma della vigente legislazione, il Comune rilascia il titolo edilizio ai sensi dell’articolo 20 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, ovvero verifica i titoli edilizi di cui agli articoli 22 e 23 del medesimo decreto. La conformità urbanistica è attestata dal professionista abilitato o dall’Ufficio comunale tramite i titoli edilizi legittimi dell’edificio preesistente, l’assenza di procedure sanzionatorie o di sanatoria in corso, l’inesistenza di vincoli di inedificabilità assoluta.
Nei comuni indicati negli allegati 1, 2 e 2-bis gli interventi di ricostruzione di edifici privati in tutto o in parte lesionati, crollati o demoliti, od oggetto di ordinanza di demolizione per pericolo di crollo, sono in ogni caso realizzati con SCIA edilizia, ai sensi e nei limiti di cui all’articolo 3-bis, comma 2, del decreto-legge 24 ottobre 2019, n. 123, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 dicembre 2019, n. 156, anche con riferimento alle modifiche dei prospetti senza obbligo di speciali autorizzazioni”.
La disciplina ora introdotta dal legislatore consente la realizzazione con SCIA di tutti gli interventi edilizi che siano conformi all’edificio preesistente ossia che non aumentino le volumetrie, salvo che per le parziali modifiche per ragioni sismiche o di efficientamento energetico, a condizione che l’edificio preesistente sia “legittimo”, fatti salvi gli abusi per difformità parziali comunque sanabili ai sensi dell’art 1 sexies del decreto legge n. 55 del 2018. E’ sempre ammessa la ricostruzione con totale demolizione, nei limiti di cui sopra, anche nei centri storici. Se l’intervento è conforme e non vi sono sostanziali alterazioni dello stato esteriore non è dovuta l’autorizzazione paesaggistica ed è comunque ammessa la modifica dei prospetti. La modifica della sagoma è ammessa con SCIA solo nei limiti degli ingombri planivolumetrici esistenti mentre, nei casi diversi, sarà necessario il permesso di costruire. Il permesso di costruire è altresì necessario per le nuove costruzioni, le ristrutturazioni edilizie con aumenti di volumetria nonché per le delocalizzazioni volontarie.
L’interpretazione ora fornita deve ritenersi valida per tuti i comuni del cd. “doppio cratere”, a prescindere dunque dalla misura del calcolo del contributo secondo il criterio di “prevalenza del danno”.